Ma che caldo fa…

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di Francesco Calì

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Il meteo è inclemente, la calura opprimente costringe il catanese a lasciare a casa gli abiti che ha indossato sino a qualche giorno fa. Il commento ricorrente: è arrivata l’estate! L’inverno è finito afferma qualcuno e, subito risponde un altro, ma perché c’è stato inverno quest’anno? Il caldo anomalo di questi giorni mette a dura prova la sua pazienza, ma lo aiuta a dimenticare i problemi assillanti; per un breve momento traffico, crisi economica, disoccupazione e quant’altro vengono rimpiazzati da salaci commenti sul clima e le sue stranezze.

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Sabato vado al mare a prendere il sole e abbronzarmi un po’, dice la signora all’amica mentre sono comodamente sedute al bar; approfittiamo del sole di questi giorni per prendere un po’ di tintarella così da trovarci pronte per la stagione estiva. Ascolto distrattamente i discorsi delle due signore e, apprendo mio malgrado che in tal negozio ci sono sconti incredibili sugli ultimi arrivi, nessuna disquisizione filosofica e neppure letteraria, ma non mi aspettavo nulla di diverso.

Lasciamo le signore ai loro pettegolezzi e veniamo all’argomento di oggi. Voglio parlarvi dell’ultimo libro di Umberto Eco. Alt! Per favore fermatevi, non chiudete subito la pagina! Non vi farò una recensione dello splendido libro di Eco, desidero soltanto condividere alcuni spunti di riflessione. Tranquilli, nulla di impegnativo, voglio solo fare quattro chiacchiere sul ruolo dei professori nella scuola, o meglio nella società.

Il libro postumo di Umberto Eco altro non è che una raccolta di quelle che lui chiamava le Bustine di Minerva, che sono state pubblicate con cadenza settimanale e poi quindicinale sull’Espresso per quasi trent’anni. Si tratta di brevi riflessioni su fatti quotidiani e non, che il filosofo ci propone con la sua solita arguzia. Basta dilungarci, puntiamo dritti al nostro argomento: qual’è il ruolo dei professori?

Non voglio togliere a nessuno il piacere di gustarsi la lettura di questo splendido libro per cui dirò lo stretto indispensabile: afferma Umberto Eco che i professori devono trasmettere si formazione ma anzitutto nozioni: «le tabelline nelle elementari…notizie sulla capitale del Madagascar nelle medie, sino alla data della guerra dei trent’anni nel liceo».

Ok, sulle tabelline nessun problema, la capitale del Madagascar è… e chi se lo ricorda! Forse con la guerra dei trent’anni va un po’ meglio, XVII secolo credo, o no! Allora, faccio quello che farebbe qualsiasi ragazzo di oggi, o almeno spero che faccia, accendo il computer, lo collego ad internet e cerco notizie sulla capitale del Madagascar: «Antananarivo» lampeggia sullo schermo. Debbo confessarvi di non averlo probabilmente mai saputo, eppure è una classica domanda da settimana enigmistica, esercizio mentale che ho svolto di tanto in tanto. Riguardo alla guerra dei trent’anni le cose sono andate meglio, ho azzeccato il secolo ma non ricordavo con esattezza gli anni: 1618-1648.

Che delusione sarei stato per il mio professore di storia e filosofia, e dire che ero anche uno bravo! D’accordo, ormai alla mia veneranda età posso anche non ricordare certe cose, superati i cinquanta tutto diventa più complicato e una tenue nebbiolina avvolge i nostri ricordi scolastici; bene, mi dico, sicuramente andrà meglio se parlo con qualche giovane in età scolare.

Così, quasi per scherzo, pongo ad alcuni ragazzi, taluni frequentano ancora il liceo altri sono studenti universitari, le domande incriminate. Naturalmente, non si tratta di un’indagine scientifica ma soltanto di una mia curiosità e… forse avrei fatto meglio a non indagare. Pochi degli intervistati sono stati in grado di ricordare a memoria le tabelline, la maggior parte ha confessato di usare la calcolatrice del telefonino quando è necessario; anche peggio è andata con la capitale del Madagascar e con la data della guerra dei trent’anni: nessuno e sottolineo nessuno sapeva dare una risposta sensata. Qualcuno mi ha detto che la guerra era scoppiata al tempo delle crociate, qualcun altro nel XVIII o nel XIX secolo.

Sconfortante! Ma dove abbiamo sbagliato? Perché sicuramente noi abbiamo sbagliato!

Abbiamo forse trasmesso il messaggio che la storia o la matematica sono inutili nella vita, e che a tutto si può sopperire con internet? Sono stati i nostri docenti ad essere incapaci di instillare quella sana curiosità che avrebbe dovuto spingere i giovani a leggere e informarsi? O forse è il modello di questa società in cui tutto sembra potersi ottenere troppo facilmente e, soprattutto, nulla sembra aver valore se non per una insignificante frazione di tempo, ad essere fallimentare. Noi desideriamo il nuovo modello di smartphone non perché abbia innovative funzioni grazie alle quali migliorare la nostra qualità di vita, ma perché la pubblicità ci convince che senza l’ultimo modello non siamo alla moda, siamo superati. E dopo averlo acquistato passeremo delle settimane per imparare ad usarlo, facendone infine lo stesso uso del vecchio modello. Ad ogni modo siamo noi che dobbiamo cercare una soluzione ai nostri errori, i ragazzi, i nostri figli non hanno colpe, perché noi li abbiamo cresciuti così; ed oggi ci guardiamo attorno spaesati e, soprattutto, preoccupati.

Si, lo so! Avevo iniziato questa mia conversazione in maniera leggera, che tempo fa, due signore che simpaticamente spettegolano davanti ad un caffè, poi mi sono lasciato prendere la mano. Il mio non-scientifico test non serve a mettere in evidenza la mancanza di cultura dei giovani, anche perché non tutti sono così, piuttosto indulge su alcuni nostri errori, che spero siano ancora superabili; errori che tutti abbiamo davanti agli occhi ma che fingiamo di non vedere. Tutto questo ricorda la barzelletta delle tre scimmiette: una non vede, l’altra non parla e infine l’ultima non sente.

Ma forse è meglio se apriamo gli occhi, sturiamo le orecchie e iniziamo a parlare con i nostri giovani.

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